Come tutto iniziò…

Evelyne e Josephine

La mia vita con i cavalli cominciò all’età di sei anni in Germania, dove sono nata.
Vivevo in campagna e il mio orizzonte abituale comprendeva la vista di cavalli e mucche. Un pomeriggio vidi un enorme cavallo da tiro agricolo galoppare in un ampio prato. Era bello, aggraziato (ebbene sì, anche i cavalli da tiro pesante possono esserlo), mi fece una grande impressione. Era una femmina e decisi che dovevo tentare di salirle in groppa per cavalcare con lei.

La Grande Berta

Per prima cosa però le diedi un nome. La chiamai Grande Berta e in pochi giorni, con l’aiuto di mele e carote, Berta imparò ad avvicinarsi alla recinzione e a restare immobile il tempo necessario perché potessi salirle in groppa. Andavamo a zonzo, al passo e al trotto. A1 primo galoppo però mi innamorai perdutamente dei cavalli. È stata una esperienza meravigliosa che soprannominai “magia alla Berta“. Un mix di fiducia, pace e libertà che mi facevano sentire veramente bene. Berta mi proteggeva e appena perdevo l’equilibrio lei si fermava giusto il tempo perché potessi riassestarmi. Insieme eravamo una coppia molto affiatata, tant’è che cominciai a cimentarmi nel mondo degli sport equestri con il volteggio, il dressage e le competizioni.

Sia chiaro, entrai in un mondo dove i cavalli vivono prevalentemente nei box di scuderia e ci si aspetta da loro che si comportino né più né meno come automi. Uno dei miei insegnanti, il migliore, fu un militare in pensione. Amava dirmi:

In guerra la vita di un soldato dipendeva dal suo cavallo. La fiducia tra cavallo e cavaliere e il benessere del cavallo erano gli elementi più importanti per la sicurezza. Cosa possiamo dedurne? Cari ragazzi, per diventare bravi cavalieri la priorità deve essere la buona cura del cavallo!

Dalla teoria ai fatti: finita la lezione a nessuno era permesso di rifocillarsi fino a che non si era sistemato al meglio il cavallo. Prendersi buona cura del cavallo significava non lasciargli addosso marcature da finimenti, pulirgli accuratamente muso, orecchie, occhi, piedi, zona genitale e perianale.

“I cavalli non riescono a concentrarsi durante gli esercizi se gli prude il sedere… ci riusciresti tu in quella situazione?” ripeteva a sfinimento il mio insegnante…
Era perfettamente nel giusto, eppure è pratica comune che quando si va al maneggio per una lezione il cavalli sia già perfettamente pronto e che finita la lezione l’allievo che segue sia già in attesa per montare lo stesso identico cavalli senza attardarsi a pulirlo e a controllare i finimenti.

Ci siamo forse dimenticati del benessere del cavallo per la smania di far soldi in modo facile e veloce?!?

In ogni modo, durante quegli anni di dressage e concorsi non si ripeté più il “magico momento alla Berta“. A ventidue anni lasciai la scena per andare a vivere in città e continuare i miei studi. A venticinque mi sposai ed ebbi un figlio. Ogni tanto mi capitava di andare con amici in maneggio fuori città e noleggiare un cavallo per fare una passeggiata… ma qualcosa mancava sempre.

Dalla Germania all’Italia passando per l’Inghilterra

A trent’anni mi trasferii in Inghilterra e precisamente a Newmarket, una città nota per l’ippodromo. Non era l’ambiente giusto per me e quando ce ne andammo dall’Inghilterra per venire a vivere in Italia fui grata del cambiamento. In Italia misi su un piccolo quotidiano che si occupava delle differenze culturali e sociali tra l’Italia e l’America, finanziandosi con gli inserti pubblicitari delle attività economiche locali.

Un giorno vidi un manifesto che promuoveva un rodeo che si sarebbe svolto di lì a poco nella nostra provincia. Mi recai sul luogo della manifestazione pensando di vendere uno spazio pubblicitario, e mi trovai di fronte un maneggio dotato di appena un rettangolo. La scuderia contava solo otto cavalli.
Il proprietario mi rispose: “Mi dispiace, non abbiamo fondi extra da investire in pubblicità, ma stia un po’ nei paraggi… magari può scrivere un articolo gratuito sulle nostre attività”. Lo feci. Rimasi un po’, scrissi l’articolo e cominciai a tornare spesso in quel luogo per potermi intrattenere con “Coda Lunga” un argentino arrivato da poco in Italia via nave, che aveva ancora attaccata all’orecchio la clip per l’impiego in macellazione.
“Non si lascia toccare da nessuno, è un selvaggio!” – lo additava il proprietario – “Ma vedrai che lo metterò in riga presto… deve partecipare al rodeo!” aggiungeva.

Coda Lunga

Con Coda Lunga fu una sorta di amore al primo sguardo. I suoi occhi riflettevano tutta la tristezza, il dolore e la sofferenza del mondo e ne rimasi molto toccata. In più, in fondo, c’era una piccola scintilla che sembrava dire: “Sono qui, mi puoi vedere?”.
Mi commuoveva profondamente e così tornavo spesso sul posto per portargli carote e mele e per provare a conquistare la sua fiducia.
Cominciai a mettergli una capezza per portarlo al pascolo. Un giorno gli chiesi il permesso di salirgli in groppa senza né briglie né sella. Mi portò a spasso come fece Berta la prima volta, prendendosi cura di me in modo gentile.

Eppure nessun altro in quel maneggio poteva montarlo. Aveva sgroppato chiunque ci avesse provato e il proprietario finì per diventare geloso del mio successo. Lui (pareva credere) avrebbe dovuto essere il domatore della situazione, non io. Gli chiesi di comprare Coda Lunga, ma in preda ad emozioni negative lui si rifiutò di acconsentire. La fece pagare al cavallo per l’amicizia che si era instaurata tra noi.
Fu crudele con il cavallo di fronte ai miei occhi e dovetti andarmene a testa bassa perché la vita non peggiorasse ulteriormente per Coda Lunga. Fu una separazione drammatica e piansi molto, pregando che Coda potesse perdonarmi.

Un patto con un commerciante di cavalli

Qualche mese prime avevo conosciuto un vecchio signore che commerciava in cavalli. Comprava cavalli per ingrassarli e poi venderli al macello. Non li trattava male. Li teneva al pascolo in uno spazio ampio, ma quando il tempo veniva per venderli al macello nulla lo tratteneva. Dopo la delusione con Coda Lunga mi rifugiai nel salvataggio di questi poveri sfortunati. Feci un patto con il commerciante. Se fossi riuscita a montare uno o più cavalli, questi poi sarebbero stati venduti come animali da sella anziché da macello. Mi diedi molto da fare. Feci in modo di montarli tutti. Cavalli di ogni razza e stazza, con qualsiasi problema fisico o mentale… quieti o irosi… provai con ciascuno di loro nell’intento di liberarli dal drammatico destino che li attendeva. Non riuscii a salvarli tutti, ovviamente, ma spesso vi riuscii.

Fu una scuola di equitazione impareggiabile: imparai ad osservare bene i cavalli e a capire il loro sistema di relazioni, come rendersi amici o nemici a vicenda. Non conoscendo il loro passato e, in particolare, se fossero stati mai impiegati o meno, a sella o a tiro che fosse, non mi rimaneva che fermarmi a lungo ad osservali per capirli, prima di prendere l’iniziativa di saltargli in groppa.

Circa un anno dopo l’anziano signore proprietario del branco mi disse che stava arrivando un nuovo cavallo che già conoscevo. “È Coda Lunga. Ti avviso però che è in pessime condizioni e non so se ce la può fare a salvarsi” precisò. Una cosa che rimarrà per sempre indelebile nella mia memoria è la vista di Coda quando scese dal camion. Aveva perso duecento chili. Non riusciva a tenersi in piedi, aveva ferite aperte e suppuranti e si appoggiava al lato del camion per trovare un qualche equilibrio. Lo chiamai e mi guardò con occhi stanchissimi.
Ma c’era ancora una piccola luce che mi comunicava: “Io sono qui… tu puoi vedermi?!?”.
Pregai il vecchio signore di lasciarmi tentare il salvataggio.
Acconsentì.
Chiamammo il veterinario.
Il medico non mi lasciò mole speranze, ma io insistetti. “La prego… mi lasci provare… Coda ce la può fare, lo so… è un cavallo di indole forte!” scongiurai e pregai finché cedette e mi prescrisse le cure necessarie.
Ci vollero sei mesi perché Coda si rimettesse un minimo in sesto, recuperasse peso e gli si chiudessero le ferite aperte sul fianco sinistro. Per sei mesi mi lasciò applicare tutti i medicamenti necessari senza mai ribellarsi, come se sapesse che stavo cercando di fargli del bene (lavorando al rifugio che poi fondai mi sono resa conto che anche i cavalli più difficili e aggressivi sembrano intuire quando si sta cercando di aiutarli e perciò in quei frangenti diventano collaborativi).
Si strusciava a me quando quotidianamente andavo da lui per applicargli i trattamenti, e fu in uno di questi momenti che ritrovai finalmente il mio magico momento “alla Berta”. Non erano il cavalcare, le gare o i concorsi che mi potevano regalare quegli attimi d’oro. Piuttosto, era la consapevolezza che potevo fare la differenza aiutando un cavallo in difficoltà, rendendogli la vita migliore.

Alla ricerca di una casa sicura

Nel frattempo affittai una fattoria che prima era adibita all’allevamento di conigli e la trasformai in un maneggio.
Comperai Filippo, uno stallone di dieci mesi destinato alla macellazione perché difettoso negli appiombi, e quindi non adatto ad essere venduto come cavallo da sella, e nel giorno del mio (quarantesimo compleanno organizzai un ricevimento nella mia scuderia per festeggiare la mia nuova attività e il dono di una casa sicura, finalmente, per Coda e Filippo.
Coda finì per diventare uno splendido cavallo, specialmente con i bambini. Portò perfino mia madre a fare una piccola passeggiata nel giorno del suo sessantanovesimo compleanno, e mia madre aveva mai montato un cavallo prima di allora! Insomma, mi restituì tutto quello che avevo fatto per lui e ancora di più.

Morì nel 2003. Era affetto da cancro e lo mettemmo a dormire con tutte le possibili premure. Gli tenni in braccio la testa fino all’ultimo respiro e ancora mi manca.

Volevo molti altri “momenti alla Berta”

Il mio rifugio – maneggio per cavalli sfortunati è nato così. Volevo molti altri “ momenti alla Berta”. Tutte le volte che andavo dai commercianti di cavalli per comperare un buon cavallo da sella tornavo sempre con il più sgangherato tra tutti quelli visti… e che ne sono così tanti purtroppo che versano in tristi condizioni da rendere ardua la scelta.

Ad un certo punto, poi, furono i cavalli sfortunati a cominciare a cercarmi. Lucky venne da Trieste, un buco al posto di un occhio e pus maleodorante emesso da sotto la mandibola. Il suo proprietario non voleva spendere troppo soldi per lui, cosi le donne che frequentavano quel maneggio lo rilevarono e me lo portarono.
Dopo un anno di trattamenti, tre operazioni chirurgiche e orbo da un occhio, Lucky è oggi un cavallo felice. È stato lo zio adottivo di uno dei miei puledri. Quando, un mese dopo la sua terza operazione, lo vidi al pascolo giocare con Zuli, il puledro, ecco che ebbi un altro dei miei magici momenti “alla Berta” Vederlo contento e sereno era la soddisfazione maggiore che potessi ricevere, molto più gratificante rispetto a vincere un concorso.

Da allora ho avuto molti altri momenti magici alla Berta. Certo, se tutti si prendessero la briga di ascoltare i propri cavalli e osservarli profondamente negli occhi, forse ci sarebbero meno cavalli infelici al mondo.

Evelyne Zedan